Skip to Main Content

COVID-19: Le possibili conseguenze sui contratti di locazione commerciale

Data: 29 May 2020
Italian Litigation and Dispute Resolution Alert

Cenni sul quadro normativo di riferimento

L’emergenza COVID-19 ha reso necessaria l’adozione in Italia di normative d’urgenza finalizzate a contrastare la diffusione del contagio. I provvedimenti emanati hanno inciso in modo significativo, tra l’altro, sulla libertà di movimento delle persone e sull’apertura delle attività commerciali.

In particolare, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) dell’11 marzo 2020 ha sospeso tutte le attività commerciali al dettaglio, incluse quelle collocate all’interno di centri commerciali, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità individuate nell'allegato 1 al medesimo documento. Sono state, inoltre, sospese le attività dei servizi di ristorazione, inclusi i bar, i pub, i ristoranti, le gelaterie, le pasticcerie.

La sospensione delle attività commerciali è stata prorogata, con piccole variazioni, da successivi provvedimenti. Mentre si scrive, il DPCM del 17 maggio 2020 ha previsto la riapertura di gran parte delle attività commerciali a partire dal 18 maggio 2020, attribuendo comunque alle regioni un ampio potere di regolamentazione in funzione dell’andamento della diffusione del contagio. Anche le attività di somministrazione di alimenti e bevande sono generalmente autorizzate purché nel rispetto di stringenti protocolli di sicurezza.

È evidente che la chiusura obbligata per più di due mesi degli esercizi commerciali e la riapertura comunque soggetta a importanti vincoli e restrizioni abbia avuto, e stia avendo, importanti conseguenze in termini economici sulle medesime attività e sulla difficoltà di adempiere al pagamento dei canoni.

Possibili conseguenze sui contratti di locazione commerciale

In tale contesto ci si interroga se il conduttore obbligato a sospendere la propria attività da provvedimenti legislativi sia tenuto al pagamento dei canoni ovvero possa richiederne la sospensione o riduzione e, viceversa, quali tutele o principi possa invocare il locatore per il rispetto delle previsioni contrattuali.

Il presente lavoro offre solamente qualche spunto di riflessione alla luce dei principi generali del diritto italiano. Il presente documento non costituisce, quindi, un parere legale, né deve intendersi come finalizzato alla disciplina di casi concreti, che dovranno, al contrario, essere oggetto di singole valutazioni, che tengano conto di ogni circostanza specifica.

Il diritto di recesso per gravi motivi nei contratti di locazione ad uso commerciale

L’art. 27, comma 8 della Legge 392/1978 attribuisce al conduttore, nelle locazioni ad uso non abitativo, il diritto di recesso in qualsiasi momento per gravi motivi, con preavviso di almeno sei mesi. Il diritto di recesso previsto dalla norma in esame opera di legge, anche in assenza di specifica previsione contrattuale.

Secondo la giurisprudenza, i gravi motivi che giustificano il recesso del conduttore devono essere determinati da fatti estranei dalla volontà di chi li invoca, imprevedibili, sopravvenuti e tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto.

In tale prospettiva, la chiusura forzata dei locali commerciali e/o le difficoltà economiche in ogni caso conseguenti all’emergenza COVID-19 potrebbero essere considerate come grave motivi di recesso dal contratto di locazione, trattandosi di circostanze imprevedibili e indipendenti dalla volontà del conduttore.

Si osserva, tuttavia, che, nell’ipotesi in cui il conduttore esercitasse il recesso per gravi motivi ai sensi dell’art. 27 della Legge 392/1978 sarebbe, comunque, tenuto al pagamento del canone di locazione nei sei mesi di preavviso. Il recesso porterebbe, inoltre, alla definitiva risoluzione del contratto di locazione, che potrebbe non essere la soluzione ricercata dal conduttore interessato, invece, alla continuazione del rapporto anche al termine dell’emergenza sanitaria.

L’impossibilità sopravvenuta e la forza maggiore

Il conduttore che non intenda risolvere il contratto di locazione, per esempio perché vuole comunque preservare il proprio spazio commerciale in vista di una ripartenza dell’attività, potrebbe nondimeno richiedere al locatore la sospensione del pagamento del canone di locazione durante il periodo interessato dall’emergenza COVID-19, senza che il mancato pagamento costituisca inadempimento imputabile al debitore.

Tale rimedio potrebbe essere innanzitutto supportato dall’art. 1218 c.c., a mente del quale il debitore che non esegua esattamente la prestazione dovuta non è tenuto al risarcimento del danno se prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa allo stesso non imputabile.

Il conduttore potrebbe fare altresì richiamo all’art. 1256 c.c. che costituisce applicazione, nell’ordinamento giuridico italiano, del principio della forza maggiore. La norma prevede, infatti, che l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diviene impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché perdura l’impossibilità, non è responsabile del ritardo nell’inadempimento.

Al riguardo è pacifico, tra gli interpreti, che sussista una causa di forza maggiore in presenza di una cosiddetta ipotesi di factum principis, con tali intendendosi l’emanazione di ordini e provvedimenti di tipo legislativo o amministrativo che rendano di fatto impossibile eseguire la prestazione.

In applicazione delle previsioni sopra citate, considerando la normativa adottata per far fronte all’emergenza COVID-19, che ha imposto significative restrizioni alle attività commerciali, il conduttore potrebbe dunque invocare la forza maggiore, quale conseguenza del factum principis, per sospendere il pagamento del canone di locazione senza incorrere in conseguenze sotto il profilo contrattuale (es. risoluzione per inadempimento, interessi moratori, penali, etc.).

Una simile impostazione sembrerebbe peraltro suggerita anche dall’art. 91 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 (“Decreto Cura Italia”), ai sensi del quale il rispetto delle misure di contenimento di cui al D.L. 23 febbraio 2020 n. 6 (i.e. le misure di contenimento del contagio) deve essere sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore.

Si osserva, tuttavia, che, nell’ambito di un contratto di locazione, pare difficile per il conduttore poter sostenere che le misure adottate dalla suddetta normativa rendano effettivamente “impossibile” la prestazione di pagamento del canone di locazione, in primo luogo in quanto l’obbligazione di pagamento di una somma di denaro non sarebbe mai di per sé “impossibile” e, inoltre, in quanto le limitazioni e restrizioni all’attività appaiono comunque a carattere solo temporaneo.

Anzi, secondo una diversa prospettiva, nell’ipotesi in cui i locali commerciali debbano restare chiusi per legge, a divenire impossibile, per fatto a lui non imputabile, sarebbe semmai la prestazione del locatore, in quanto soggetto normalmente tenuto, ai sensi dell’art. 1575 c.c., a garantire al conduttore il pieno godimento dell’immobile. A fronte della eccezione da parte del conduttore circa l’impossibilità di godere dell’immobile locato, con contestuale richiesta di sospensione del pagamento del canone, il locatore potrebbe dunque ragionevolmente difendersi invocando lui stesso la forza maggiore, nella forma del factum principis, sostenendo l’impossibilità ex lege di adempiere alla propria obbligazione.

Si tratterebbe, ad ogni modo, anche in questo caso, di una impossibilità soltanto temporanea, e quindi parziale, della prestazione, atteso che la sospensione delle attività resterebbe limitata ai periodi di tempo disposti dalla legge. In termini di conseguenze sotto il profilo contrattuale, potrebbe quindi rilevare quanto previsto dall’art. 1464 c.c., ai sensi del quale, quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta (salva la facoltà di recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale).

Tale disposizione potrebbe, dunque, supportare la richiesta dal conduttore di ottenere una riduzione del canone di locazione, corrispondente al periodo di impossibilità di pieno godimento dell’immobile locato.

L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione

Si può altresì ipotizzare che, a propria tutela, il conduttore possa contestare che la propria obbligazione sia divenuta eccessivamente onerosa in considerazione dell’eccezionale situazione dovuta all’emergenza COVID-19.

Al riguardo, l’art. 1467 c.c. prevede che, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può, a propria volta, evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

L’onerosità, per essere rilevante ai sensi dell’art. 1467 c.c., deve eccedere il rischio economico originariamente accettato dalle parti e dev’essere causata da eventi straordinari che le parti non potevano prevedere nel momento della conclusione del contratto.

Il conduttore che ritenga il canone di locazione eccessivamente oneroso a causa delle sopraggiunte circostanze relative all’emergenza COVID-19 (a maggior ragione, ove la situazione di emergenza sia protratta per un lasso di tempo rilevante) potrebbe, dunque, invocare la norma in commento, la quale, di fatto, condurrebbe comunque alla risoluzione del contratto di locazione.

Tuttavia, in tal caso, il locatore potrebbe evitare la risoluzione offrendo un’equa modifica delle condizioni contrattuali che consenta di riequilibrare le obbligazioni delle parti.

La buona fede nell’esecuzione dei contratti

In aggiunta a quanto sopra, l’art. 1375 c.c. dispone un principio di portata generale secondo cui “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”. È perciò possibile che, nel contesto in esame, un conduttore invochi questo principio generale di legge per ottenere – almeno temporaneamente – un riequilibrio delle condizioni contrattuali.

A tal riguardo, al fine di limitare l’impatto delle misure restrittive sui contratti di locazione, l’art. 65 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”) ha introdotto la previsione di un credito d’imposta del 60% dell’ammontare del canone di locazione pagato nel mese di marzo 2020, applicabile, tuttavia, solo alla locazione di specifiche tipologie di immobili (i.e. negozi e botteghe) e con l’esclusione delle attività commerciali che non siano state sospese dalla legislazione di emergenza.

L’art. 28 del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. “Decreto Rilancio”) ha esteso la predetta misura sia sotto il profilo soggettivo che temporale. Tale disposizione prevede, in particolare, che ai soggetti esercenti attività d'impresa, arte o professione, con ricavi o compensi non superiori a 5 milioni di Euro nel periodo d'imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Rilancio spetti un credito d'imposta nella misura del 60 per cento dell'ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento di attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all'esercizio abituale e professionale di attività di lavoro autonomo. In caso di contratti di servizi a prestazioni complesse o di affitto d'azienda, comprensivi di almeno un immobile a uso non abitativo destinato allo svolgimento di attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all'esercizio abituale e professionale dì attività di lavoro autonomo, tale credito spetta nella misura del 30 per cento dei relativi canoni. Per quanto riguarda le strutture alberghiere e agrituristiche, il credito d’imposta spetta indipendentemente dal volume di ricavi e compensi registrato nel periodo d'imposta precedente.

Il credito d'imposta in questione è commisurato all'importo versato nel periodo d'imposta 2020 con riferimento ai mesi di marzo, aprile e maggio, mentre per le strutture turistico ricettive con attività solo stagionale è commisurato con riferimento ai mesi di aprile, maggio e giugno. Ai locatari esercenti attività economica, il credito d'imposta spetta a condizione che abbiano subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi nel mese di riferimento di almeno il cinquanta per cento rispetto allo stesso mese del periodo d'imposta precedente.

È, inoltre, previsto che il credito d’imposta di cui al Decreto Rilancio non sia cumulabile con quello previsto dal sopra menzionato articolo 65 del Decreto Cura Italia, in relazione alle medesime spese sostenute.

Sebbene le sopra citate norme intervengano sul piano dell’agevolazione fiscale, senza incidere nel rapporto contrattuale tra locatore e conduttore, è altrettanto vero che, se è consentito un credito di imposta (peraltro in una misura piuttosto rilevante, pari al 60 per cento), ciò parrebbe indirettamente confermare la tesi che il conduttore sia comunque tenuto al pagamento dei canoni contrattualmente pattuiti e non abbia un diritto “automatico” di sospensione o riduzione degli stessi. Certamente la misura del sostegno fiscale può anche costituire un parametro utile per le ipotesi in cui le parti intendano comunque negoziare un accordo di riduzione temporanea del canone.

Con riguardo alle eventuali modifiche contrattuali, è comunque sempre necessario verificare se nei contratti di locazione siano contenute clausole specifiche che autorizzino le parti a modificare, ad esempio, l’ammontare del canone, in considerazione delle circostanze eccezionali occorse. Si può peraltro verosimilmente prevedere che tali clausole saranno, d’ora in avanti, presenti nei contratti di locazione di nuova conclusione.


L’effettiva applicazione degli istituti giuridici sopra richiamati dipenderà principalmente dall’evoluzione dell’epidemia, dalla durata temporale degli stessi provvedimenti emergenziali e dai riflessi economici che gli stessi avranno sulle attività delle parti dei contratti di locazione.

Qualora le parti, anche al fine di evitare possibili contenziosi, non rinegoziassero le condizioni contrattuali, spetterà al Giudice valutare in ciascun caso specifico se i rimedi giuridici suggeriti nel presente contributo siano applicabili e in quale misura. È verosimile, in particolare, che la valutazione della durata delle misure restrittive avrà un impatto significativo sul diritto del conduttore di chiedere la risoluzione del contratto di locazione.

Return to top of page

Email Disclaimer

We welcome your email, but please understand that if you are not already a client of K&L Gates LLP, we cannot represent you until we confirm that doing so would not create a conflict of interest and is otherwise consistent with the policies of our firm. Accordingly, please do not include any confidential information until we verify that the firm is in a position to represent you and our engagement is confirmed in a letter. Prior to that time, there is no assurance that information you send us will be maintained as confidential. Thank you for your consideration.

Accept Cancel