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Il contratto a tutele crescenti sarà sottoposto al sindacato di costituzionalità

Data: 8 agosto 2017
Italia - Diritto del Lavoro Alert

Il Tribunale del lavoro di Roma, con un’ordinanza del 26 luglio scorso, ha sottoposto il c.d. “contratto a tutele crescenti”, entrato in vigore il 7 marzo 2015, al giudizio della Corte Costituzionale.

Il Giudice del lavoro ha reputato che gli articoli 2, 4 e 10 del decreto legislativo n. 23/2015 e l’articolo 1, comma 7 della legge delega 183/2014, il c.d. “Jobs Act”, possano essere in contrasto con la Costituzione, in particolare con gli articoli 3, 4, 76 e 117.

La controversia di merito sottostante la citata ordinanza ha ad oggetto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una lavoratrice assunta post Jobs Act, i.e. successivamente il 7 marzo 2015, e congedata appena 7 mesi dopo la data di assunzione.

La tutela concessa al lavoratore assunto dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 23/2015, consistente nella dazione di un’indennità, non assoggettabile a contribuzione, pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque compresa tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, è stata giudicata dal Tribunale del tutto inadeguata. Ad avviso del Giudice, il Jobs Act avrebbe posto in essere un “regresso di tutela […] irragionevole e sproporzionato”, il quale “viola l’art. 3 Cost. differenziando fra vecchi e nuovi assunti”.

Viceversa al lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015, viene concessa la tutela reintegratoria e un’indennità commisurata sino a un massimo di 12 mensilità, ovvero la sola tutela indennitaria tra 12 e 24 mensilità.

Il contrasto con la Costituzione, ad avviso del Giudice del lavoro, si ravviserebbe nella “disciplina concreta dell’indennità risarcitoria” e non nella mancanza della tutela risarcitoria. L’indennità, destinata a dover riparare ad un danno ingiusto causato al lavoratore, dovrebbe essere “ben più consistente ed adeguata”.

Ad avviso del Tribunale “la previsione di una indennità in misura così modesta, fissa e crescente solo in base alla anzianità di servizio non costituisce adeguato ristoro per i lavoratori assunti dopo il 7.3.2015 e ingiustamente licenziati e viola il principio di uguaglianza”.

L’indennità risarcitoria, così disciplinata, mancherebbe di carattere compensativo per il lavoratore e dissuasivo per le aziende, le quali, all’opposto, godrebbero degli sgravi contributivi e della possibilità di poter allontanare il lavoratore con cifre tanto più basse quanto minore è la durata del rapporto di lavoro. Deriverebbero, pertanto, delle conseguenze discriminatorie: i datori di lavoro sarebbero più propensi a licenziare i dipendenti soggetti alla disciplina delle tutele crescenti e non quelli soggetti alla normativa precedente, sicuramente più onerosa per il datore di lavoro.

Inoltre, sempre secondo il Giudice del lavoro di Roma, la misura fissa dell’indennità, proporzionata all’anzianità e predeterminata a prescindere dalla gravità dell’illegittimità del licenziamento, eliminerebbe del tutto la valutazione in concreto del pregiudizio sofferto dal lavoratore da parte del giudice, negando in tal modo la possibilità di adattare l’indennità al caso specifico.

Il Tribunale ritiene violati anche gli artt. 4 e 35 della Costituzione, disposizioni cardine per la tutela del diritto al lavoro, in quanto “non possono dirsi inverati in una normativa come quella all’esame, che sostanzialmente “valuta” il diritto al lavoro […] con una quantificazione tanto modesta ed evanescente” ed ancora  “al diritto al lavoro, valore fondamentale della Carta, viene attribuito un controvalore irrisorio e fisso”.

Secondo il Giudice romano il contratto a tutele crescenti è in contrasto anche con gli articoli 76 e 117 della Costituzione.

Quest’ultimo impone che la potestà legislativa dello Stato venga esercitata nel rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

Il governo si impegnava rispettare tali limiti con la legge delega n. 183/2014 (regolata costituzionalmente all’art. 76), il cui articolo 1, comma 7, richiede la “coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali”.

Tuttavia il decreto attuativo di tale delega, il D. Lgs. n. 23/2015 è, ad avviso del Giudice del lavoro, in conflitto con la Carta di Nizza, Convenzione ILO n. 158/1982 e con Carta sociale europea.

La prima impone agli Stati membri di garantire un’adeguata tutela in caso di licenziamento ingiustificato; la seconda prevede la possibilità di ordinare, se non il reintegro nel posto di lavoro, quantomeno il versamento di un indennizzo adeguato o altra forma di riparazione appropriata e l’ultima convenzione stabilisce il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo a un congruo indennizzo o a un’altra adeguata riparazione.

Per tutte le sopra esposte ragioni, il Tribunale di Roma ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Consulta.

Ora, starà a quest’ultima valutare tali motivi e l’eventuale illegittimità costituzionale del contratto a tutele crescenti.

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