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Nessun rapporto contrattuale tra società e amministratori: prevale la teoria organica. Ribaltata la pronuncia delle Sezioni Unite del 1994

Data: 28 February 2017
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By: Roberto Podda, Ilaria Romano

Con sentenza n. 1545 del 20 gennaio 2017, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno fatto luce circa la natura del rapporto che lega la società di capitali ed il suo amministratore, ribaltando completamente la precedente pronuncia delle stesse Sezioni Unite risalente al 1994.

Il tema è da sempre stato oggetto di un attivo dibattito dottrinale, nell’ambito del quale si sono contrapposte la teoria cd. contrattualistica e la teoria cd. organica.

1. Teoria Contrattualistica
Secondo la teoria contrattualistica, società e amministratore costituiscono due distinti ed autonomi centri di interessi, legati da un rapporto contrattuale.

Pertanto, il rapporto tra amministratore e società costituisce un negozio sui generis, non riconducibile ad alcuna tipologia nota, ma assimilabile di volta in volta a questo o quel contratto (di mandato, d’opera, di lavoro subordinato, di lavoro parasubordinato).

2. Teoria Organica
Di contro, la teoria cd. organica respinge una configurazione contrattuale del rapporto tra società e amministratore. Gli amministratori, organi necessari per il funzionamento e la realizzazione del contratto sociale, sono titolari in via originaria di poteri di gestione della società derivanti direttamente dalla legge.

In quest’ottica, amministratore e società non costituiscono autonomi e contrapposti centri di interesse; manca infatti una qualsivoglia dualità tra i due soggetti, tra i quali si configura, all’opposto, un rapporto di immedesimazione organica.

3. Orientamenti Della Corte Di Cassazione
Nel tentativo di dare un assetto definitivo al tema, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 10680 del 1994, hanno qualificato il rapporto di amministrazione alla stregua di un rapporto di lavoro parasubordinato, ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c. Il principio enunciato dalla sentenza si fonda sul presupposto per cui l’attività che l’amministratore è tenuto a prestare in favore della società presenta i caratteri della personalità, della continuazione e della coordinazione; essa, quindi, rientrerebbe a pieno titolo nella previsione dell’art. 409 n. 3 c.p.c.

Tuttavia, all’indomani della riforma del diritto societario intervenuta nel 2003, si è reso evidentemente necessario un ripensamento di tale indirizzo.

Le stesse Sezioni Unite, quindi, con la sentenza del 20 gennaio 2017 in commento sono intervenute sul punto, osservando che la riforma del diritto societario ha, per l’appunto, ridisegnato i rapporti tra amministratore e società. La novella legislativa ha reso “l’amministratore il vero egemone della società. A lui spetta la gestione dell’impresa, con il solo limite degli atti che non rientrano nell’oggetto sociale (art. 2380 bis c.c.); il suo potere di rappresentanza è generale e concerne anche gli atti estranei all’oggetto sociale (art. 2384, comma 1, c.c.); se è amminsitratore unico ha sia il potere di gestione sia quello di rappresentanza; in eccezione ai principi generali, è stabilito che le limitazioni ai suoi poteri (sia di rappresentanza, sia di gestione) che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti (non quelle legali) non sono opponibili a terzi, anche se pubblicate, fatta salva la cd. exceptio doli (art. 2384, comma 2, c.c.)”.

Ne deriva “l’inesistenza di due contrapposti ed autonomi centri di interesse tra i quali instaurare non solo un rapporto contrattuale ma un qualsiasi rapporto intersoggettivo, data l’impossibilità di una diversificazione di posizioni contrapposte e l’inesistenza di separazione tra funzione gestoria e funzione sottoponibile a verifica, controllo e disciplina”.

Non parrebbero, quindi, esserci più dubbi per gli Ermellini: il rapporto tra l’amministratore e la società non è assimilabile né ad un contratto d’opera né tanto meno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato; amministratore e società sono legati da un rapporto di tipo societario.

Certamente, la sentenza ha chiarito la natura del rapporto che lega la società ed il suo amministratore ma ha lasciato aperte altre questioni di rilevanza sia pratica sia processuale. Ci si domanda, infatti, come saranno regolati i rapporti tra amministratore e società e quale sarà l’impatto sui contratti che già regolano i rapporti tra questi soggetti stipulati in ottemperanza alla pronuncia del 1994.

Lo scenario rimane incerto. Ad ogni modo, difficilmente i contratti già stipulati saranno considerati nulli, in virtù del principio di salvezza degli atti giuridici. Con tutta probabilità, la redazione dei “contratti di amministrazione” di origine anglossassone andrà via via scomparendo e la disciplina dei rapporti con gli amministratori sarà regolata dalle delibere dei consigli di amministrazione oppure mediante atti di nomina delle assemblee.

Infine, non può essere trascurata una conseguenza squisitamente processuale innescata della pronuncia in commento:  tutte le controversie tra amministratori e aziende saranno devolute alla competenza del Tribunale delle Imprese. Verrà, quindi, meno la competenza funzionale del Giudice del Lavoro.

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