La Tutela del Datore di Lavoro nei Confronti delle Responsabilità di Sicurezza dei Lavoratori con Attività all'Estero—Parte 1
Il Mercato del Travel Risk Management in Italia: Dimensioni e Prospettive
Il mercato del Travel Risk Management in Italia riguarda un segmento specifico di aziende e lavoratori. Nel 2021 le imprese italiane all'estero erano circa 25.491, con oltre 1,7 milioni di addetti impiegati, generando un fatturato di circa 552 miliardi di euro e operando in 175 paesi (Fonte: ISTAT). Tuttavia, la maggior parte (80-90%) di questi addetti sono "local hires", ovvero personale assunto direttamente nei paesi esteri con contratto locale. Il personale inviato dall'Italia, che rientra nel focus del Travel Risk Management, costituisce il 10-20% del totale. Di questi, circa il 10-15% sono trasfertisti con missioni temporanee, mentre il 5-10% sono espatriati/dislocati con contratti ad hoc o distacco di lungo periodo. I settori più interessati da queste dinamiche includono il Manifatturiero, l'Oil & Gas, l'Offshore, il Mining, le Costruzioni, le società di consulenza, ingegneria, auditing, e le ONG e cooperative che operano in aree a rischio.
Nonostante la mancanza di dati ufficiali specifici sulla crescita del settore del Travel Risk Management, si stima che circa 84.000 lavoratori italiani, principalmente di PMI operanti in settori ad “alto rischio” come Oil & Gas, Mining, Construction, Energy e Marittimo, potrebbero generare costi incrementali per l'adeguamento alla normativa, approssimativamente tra 15.000 e 150.000 euro annuali per un'azienda con 10-50 espatriati. La spesa massima complessiva stimabile si aggira tra 110-260 milioni di euro. Rientrano in questa voce di spesa: la formazione, le vaccinazioni, le polizze assicurative, i servizi di sicurezza e logistica, gli audit e le certificazioni. Il cambiamento normativo sarebbe una naturale evoluzione delle linee guida ISO 31030:2021 sul Travel Risk Management, già implementate da grandi multinazionali italiane da oltre 30 anni, e recepite dalle linee guida SIML 2024.
Negli ultimi 20 anni la crescita di questo mercato è stata lineare e continua, salvo durante la recente pandemia da COVID-19. L'imminente adozione di linee guida più stringenti e la crescente consapevolezza dei rischi collegati ad un contesto internazionale e geopolitico molto instabile e in continuo mutamento suggeriscono un aumento degli investimenti in questo ambito.
Gli scenari attuali del “lavoro globale” e le nuove esigenze di sicurezza e di tutela
L’attuale sistema economico globale ha determinato la profonda modificazione delle attività produttive che superano i confini nazionali: non si trasferiscono all’estero solo materie prime, prodotti industriali, tecnologie, ma anche risorse umane qualificate.
È il fenomeno della migrazione internazionale per motivi di lavoro, definito anche mobilità internazionale, noto da tempo nelle grandi aziende ma che ha subito una forte accelerazione negli ultimi dieci anni.
Le aziende italiane di grandi, medie e piccole dimensioni sono chiamate a realizzare progetti, attivare/partecipare a cantieri in tutto il mondo, compresi i cosiddetti Paesi emergenti della fascia intertropicale. I settori produttivi interessati sono i più diversificati: costruzioni, energia, telecomunicazioni e altri.
I lavoratori, quindi, si spostano dai Paesi di origine per prestare attività lavorativa “delocalizzata” in aree geografiche nelle quali vanno incontro a disadattamenti fisiologici e a “nuovi rischi per la salute e sicurezza” nei luoghi di lavoro, diversi ed ulteriori rispetto a quelli presenti nel Paese di origine. In questo modo, assume rilievo preminente, per i datori di lavoro, la necessità di assicurare la salute e la sicurezza dei propri lavoratori comandati in missione all’estero.
Il contesto internazionale impone alle aziende che operano all’estero il confronto con rischi sanitari di natura infettiva e non, fattori climatici anche estremi, contesti locali spesso instabili dal punto di vista geopolitico, strutture sanitarie non adeguate agli standard del Paese di provenienza. La stessa durata del soggiorno breve (giorni/settimane) o prolungata (mesi/anni), rappresenta un ulteriore dato da considerare in queste nuove prospettive di tutela dei propri dipendenti.
Quali soluzioni individuare
Le aziende si confrontano con nuovi obblighi di tutela e nuove responsabilità rispetto a quelle “ordinarie” e maggiormente conosciute, previste nello svolgimento di attività nel nostro Paese. Si manifesta l’esigenza di approfondire le norme di riferimento e di reperire strumenti applicativi da affiancare, armonizzandoli, alla propria organizzazione e al proprio settore produttivo.
Il perimetro normativo italiano sugli obblighi e responsabilità di tutela per le attività lavorative all’estero
Come noto, la norma-fondamento della tutela dei lavoratori è l’Articolo 2087 del Codice Civile, secondo cui “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Questo onere datoriale, al quale i magistrati fanno riferimento, ha prospettive applicative ampie e richiede il diligente adempimento degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori, ed è altresì comprensivo dell’aggiornamento sulle conoscenze di prevenzione riguardanti l’attività lavorativa svolta anche all’estero.
In aggiunta si correla il DLgs 81/08, noto come “Testo Unico” per la sicurezza nei luoghi di lavoro, che contiene le indicazioni per acquisire la metodologia necessaria alla valutazione dei rischi per le attività lavorative all’estero e le indicazioni sul rischio infettivo.
La norma contiene le modalità di individuazione delle misure preventive che sono note ai professionisti della sicurezza con specifiche competenze sul lavoro all’estero.
A completamento dei fondamenti normativi, il Ministero del Lavoro, con la Commissione Interpelli, (n.11/2016) in tema di obblighi datoriali per la tutela del lavoro all’estero, fuga ogni dubbio interpretativo: “la Commissione ritiene che il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i cosiddetti «rischi generici aggravati», legati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento non considerati astrattamente, ma che abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all’attività lavorativa svolta”.
In questa chiave, il recente Accordo Stato-Regioni licenziato nell’aprile 2025 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 maggio 2025, ha dato applicazione all’Articolo 37, comma 2, del Testo Unico Sicurezza, stabilendo nel dettaglio i percorsi formativi dedicati al Datore di Lavoro e necessari per acquisire un adeguato livello di competenza in materia di sicurezza. Esso prevede una formazione generale di almeno 4 ore e una formazione specifica, con durata variabile tra 4 e 12 ore a seconda del livello di rischio dell'azienda che, naturalmente, include i rischi specifici connessi allo svolgimento di attività all’estero in territori che presentano particolari criticità per la salute e sicurezza dei lavoratori.
All’esito di contenziosi per infortuni gravi di lavoratori occorsi in aree geografiche a rischio (dalla malattia infettiva grave alla lesione personale), le sentenze evidenziano la rilevanza della responsabilità datoriale.